Maggio 1928: da allora, in cima alla collina di Montarice, posta a quattro chilometri dall'azzurro Mare Adriatico, ad altrettanti dal Santo Colle di Loreto e a sei chilometri dall'Infinito leopardiano, svetta come una "bianca vela" la villa di Beniamino Gigli.
Il grande Tenore recanatese pertanto può, a buon diritto anche se inconsapevolmente, essere considerato un "anticipatore" dei tempi: notoriamente legato alle sue origini, ai "luoghi ameni" anche a lui tanto cari, volle che questa maestosa dimora fosse eretta nel cuore di un territorio da dove lo sguardo può abbracciare spazi infiniti.
In cima alla villa fa spicco una "torretta" dove viene collocato il "giardino d'inverno" con decorazioni e stucchi ed animali impagliati. Imponenti - e un pochino misteriosi i "servizi" posti nel piano interrato.
Il parco che si distende su di una superficie di 6 ettari circa, è sistemato secondo le caratteristiche del "giardino all'italiana"; è opera del floricultore romano Angelo Galimberti.
A ponente della villa è posta una grande fontana ornata da statue di bronzo rappresentanti le Sirene che interrompono il loro canto perchè ammaliate dalla voce di Beniamino; tutt'intorno vi sono piccole sculture, sempre in bronzo, di usignoli e rane che lanciano all'interno della fontana spruzzi d'acqua, opera del fratello di Gigli, prof. Catervo.
E' tutto uguale a come l’aveva lasciata il tenore Gigli: i cancelli d’ingresso, la casa del custode, il giardino all’italiana, i viali, il bosco, l’orto, la serra, il laghetto, l’ingresso, il corridoio, i saloni coi lampadari di Murano, la cappellina, la sala del canto, lo studio, la camera con il letto a baldacchino, il bagno con vasca incassata nel pavimento, le scale e il vecchio ascensore che conduce all’appartamento dell’attico, con le pareti decorate da scene agresti.
In questo cucuzzolo fitto di vegetazione mediterranea, tra tigli odorosi, pini marittimi, agavi, ginestre, siepi di bosso e di lauro, in un cinguettare continuo lo sguardo si perde a trecentosessanta gradi. Le muse inquiete si stagliano nel cielo come volessero indicare questo luogo dell’amore, dell’amore di Gigli per la sua “mamma” terra.